CARLO TASSI

Bondeno, 20 Maggio 1933 / Ferrara, 1 Dicembre 2011

Portava il pittore un berretto a visiera di fustagno calcato all’indietro in uno scanzonato gesto di sfida, una barbetta grigiastra difficile da catalogare, tipica degli individui che non hanno mai accettato certi valori statici e si sono stabiliti in una specie di terra di nessuno che difendono a spada tratta talvolta con una mordente ironia e spesso con una altera solitudine, di statura media, solido, di poche parole o così mi è sembrato, forse loquace con i pochi intimi ammessi alla sua corte, due occhi mefistofelici, duri e comunicanti in un gioco rapido di luci ed ombre” (G. Sitta)

Carlo Tassi (all’anagrafe Giancarlo) nasce a Bondeno (Ferrara) il 20 maggio 1933 da Valmen Munerati e Gaetano, valente pittore e restauratore, allievo prediletto di Angelo e Giovan Battista Longanesi Cattani presso l’Istituto d’Arte “Dosso Dossi” di Ferrara. Carlo respira l’arte fin dall’inizio nell’aria di casa, frequentata da artisti e intellettuali e dove, sotto la guida sapiente del padre, riceve i primi fondamenti di disegno e di pittura. Risale al 1944 la sua prima opera pittorica Il Tricolore.

La formazione

Nel 1947, finite le scuole medie, inizia a studiare presso l’Istituto d’Arte ferrarese con Nemesio Orsatti e Giuseppe Virgili. Dello stesso anno è la sua prima opera scultorea, L’arrotino un tutto tondo in marmo di Carrara. Nel 1951 si trasferisce a Bologna perfezionandosi prima all’Istituto d’Arte con Paolo Manaresi e conseguendo nel 1955 il titolo di “maestro d’arte”, poi sotto la guida di Virgilio Guidi e Pompilio Mandelli all’Accademia di Belle Arti, dove si diploma nel 1959.

Fra il 1950 e il 1960 colloca il suo primo studio nel centro di Bondeno in un locale al piano superiore del deposito di biciclette gestito dalla nonna paterna. Da qui l’artista inizia una sorta di viaggio/pellegrinaggio attraverso la pianura, dove in alcuni luoghi significativi vivrà stabilendovi di volta in volta i suoi diversi atelier, per completarsi infine nel 1995 nella dimora-studio di via Virgiliana.

Gli anni bolognesi: gli esordi e l’adesione alla poetica realista

Gli anni Cinquanta sono per Tassi ricchi di studi, ricerche e sperimentazioni. Nella prima metà del decennio il suo impegno e la sua attenzione sono rivolti alla poetica realista, intesa anche come partecipazione in termini sociali e ideologici. Seguendo questa linea l’artista realizza opere di taglio figurale dai contenuti etico morali ricche di squarci di vita sociale e ispirate al lavoro nelle campagne, alla lotta partigiana: ne sono esempio il grande dipinto intitolato Pietà partigiana (1954) che è possibile leggere come una sorta di “compianto” laico e Tutto per la Patria dell’anno successivo. Nel 1951, giovanissimo, aveva tenuto la prima mostra personale e nel 1952 esordisce alla seconda collettiva del circolo Al Filò a Ferrara, dove il suo dipinto Covoni di grano viene segnalato e recensito dal critico d’arte Renato Sitti. Carlo Tassi è il socio più giovane del circolo che vede molti artisti impegnati sul fronte del rinnovamento. Un clima di innovazione che ben si respira nella vicina Bologna dove Tassi studia e si trasferisce a vivere potendosi misurare con le nuove tendenze nazionali ed europee. Sul finire del 1955 partecipa a Ferrara alla Mostra-Concorso di pittura sulla Resistenza aperta ad una partecipazione regionale. Qui è fra i trentadue artisti ammessi al concorso da una giuria composta da Felice Casorati, Renato Birolli, Renato Guttuso e Roberto Battaglia, e con l’opera Tutto per la Patria sopra menzionata vince un premio per la sezione in bianco e nero.

La scultura

Il ‘55 è anche l’anno in cui Tassi dà avvio ad una intensa attività scultorea, approfondendo un particolare interesse per la materia che rimarrà una costante durante tutto il suo percorso. La scultura infatti avrà sempre un ruolo primario nella sua poetica anche quando a prevalere sarà la pittura per il successo che molto presto riscuoterà con essa. A partire dagli anni Sessanta pittura e scultura nelle sue opere vivranno in stretto rapporto, vale a dire quando egli inizierà ad “innestare” la seconda nella pittura inspessendo i supporti sui quali sgranerà il colore. “La mia scultura – dirà l’artista – nasce dalla natura… attraverso l’albero vivo nasce la scultura, che diventa pittorica attraverso la luce; nei miei quadri l’albero cerca la tridimensionalità…”. L’albero: l’elemento che Tassi assumerà ad archetipo della sua poetica matura identificandolo fortemente con l’uomo e con la figura di Cristo. Nel 1956 realizza per la chiesa della B. V. Addolorata di Bondeno tre rilievi con le storie di Santa Rita e per il Duomo una lunetta raffigurante Gesù fra i fanciulli. L’esordio pubblico in qualità di scultore avviene nel 1957 con una personale a Bondeno. Nelle opere di scultura l’artista si misura con differenti materiali: marmo, cotto, scagliola, cemento e ferro. Lavori, tutti, connotati da una forte stilizzazione ed essenziale plasticità, una sorta di primitivismo formale e materico dalle superfici aspre e porose. Fra queste opere di particolare rilievo è una piccola bambina, un tuttotondo a grandezza naturale: Cinzia con bambola  del 1956.

La breve stagione di Parigi e le indagini sui grandi Maestri della pittura

Parallelamente alla scultura nella seconda metà degli anni Cinquanta Tassi si muove con grande libertà verso altre tecniche e altri linguaggi espressivi: incisioni, opere grafiche, pastelli, inchiostri, cere grasse, tempere, carboncini, iniziando inoltre una intensa attività pittorica. Si allontana dalla poetica realista compiendo un’indagine ad ampio spettro sul post impressionismo ed espressionismo francese e sulla sintassi divisionista. L’attenzione per quest’ultima corrente lo porterà a produrre nel 1957 una serie di opere dalla particolare partitura cromatica, tra le quali è da segnalare Il falciatore. Nel 1958 per alcuni mesi si trasferisce a Parigi, una breve ma intensa stagione creativa, della quale conosciamo numerosi dipinti come Notre Dame, molti dei quali conservati nella capitale francese. In questo scorcio di decennio il suo interesse si rivolge inoltre ai grandi protagonisti della pittura ferrarese fra Ottocento e Novecento subendo il fascino di Filippo De Pisis (oggetto della sua tesi di Accademia), del quale intuisce l’intima sofferenza cogliendone la personale ricerca. La lezione di De Pisis si manifesta in Tassi attraverso nature morte e paesaggi dal delicato impasto cromatico e dal tratto mosso e vibrante, come per esempio Fiori con cuccuma.

Attraverso le Avanguardie: l’esperienza astratto-informale

Allo scadere degli anni Cinquanta Tassi imprime una ulteriore svolta al suo lavoro con l’avvicinarsi alle poetiche delle avanguardie e giungendo a prove astratte espresse in geometrie dalle linee nervose e spezzate che risentono dell’insegnamento del maestro Pompilio Mandelli: composizioni affidate ad un segno mobile, impulsivo e di grande energia. “È un momento di ricerca che lo proietta verso le ragioni dell’informale, affine in qualche modo al gestualismo di Scanavino o di Wolf […]. Aperture che non eludono però mai la figura, sulla quale insisterà negli anni facendo ancora leva sul segno, sulla sua capacità di materializzare l’immagine, seguendo il filo di un dettato emotivo che scava fra luci ed ombre per dare un senso alle ragioni dell’esistenza” (A. P. Fiorillo). Vedasi per esempio Ricerca del movimento-figura seduta, 1960.

Con l’opera Figure contrapposte partecipa nel 1959 a Ferrara alla collettiva “Mostra di pittura contemporanea ferrarese” vincendo il secondo premio. Importante in questa fase è la conoscenza con Luigi Spazzapan che diventa l’artista di maggiore riferimento per Tassi e al quale egli guarda con grande interesse nella propria incessante ricerca di essenzialità di espressione, di movimento, di strutture cromatiche, figurali e spaziali  (Cavallo con cavaliere, 1960).

Nello stesso 1960 Tassi inizia l’attività di insegnante prima presso l’Istituto d’Arte di Guidizzolo in provincia di Mantova, poi alle medie di Bondeno fino al 1981, quando decide di lasciare la scuola per dedicarsi a tempo pieno alla attività artistica.

Dal fondo nero del Caos alla luce divina del Cosmos

Proprio a partire dagli anni di Guidizzolo, esattamente dal 1963, l’artista dà avvio a una indagine che diventerà presto la base peculiare e predominante di tutto suo agire successivo. Allontanandosi dalle correnti e dalle trasformazioni in atto inizia infatti un’esperienza sostanzialmente solitaria che obbedisce ad una personale ricerca atta ad esprimere il proprio mondo interiore e la sua partecipazione alla realtà che lo circonda. Un aspetto fondamentale per comprendere questa decisiva svolta riguarda lo studio della pittura seicentesca, italiana ma soprattutto fiamminga: è in particolare la lezione di Rembrandt ad interessarlo, lo studio che il Maestro di Leida compie sui chiaroscuri e sulla luce che Tassi definirà profondamente mistica e religiosa. Luce che diventa punto focale della sua ispirazione pittorica e mezzo per interpretare la realtà, non tanto nelle sue oggettive rappresentazioni, quanto nelle riflessioni e nelle emozioni che da esse derivano. L’origine dell’uso particolare che Tassi farà della luce è altresì da ricercare nella lezione del Maestro Virgilio Guidi, come evidenzierà Maria Censi: “Luce che non ha dimensione atmosferica, non è impressionisticamente intesa come effetto dello scorrere del tempo o del variare climatico […], ma è luce che partecipa dell’esistenza terrena e ne sottolinea la drammaticità”.

Da un punto di vista tecnico, sempre a Guidizzolo nasce quella “maniera nera” che diventerà la cifra stilistica caratterizzante dell’artista il quale elabora una sua alchimistica preparazione al nero, ruvida e pastosa che inizia a cospargere sulla tela da dove i soggetti emergono con evidenza quasi plastica, avviando altresì un peculiare uso del colore. Scrive a tal proposito Gianni Cerioli: “La scultura rilascia alla pittura quel tanto di materia plastica, di cui è padrona, e che serve ora per fare ispessire i supporti sui cui la pittura possa posarsi sgranandosi, rivelando la luce imprigionata dei pigmenti. È un tornare del ricordo al momento della Creazione di tutte le cose, riportare dal fondo nero del Caos la luce divina del Cosmos”.

Dal punto di vista del linguaggio invece, Tassi matura una poetica che, seguendo un preciso filo conduttore che unisce elemento naturalistico, umano e religioso, verrà continuamente esplorata negli anni a venire. Nascono così dal 1963 soggetti distintivi: interni di osteria, giocatori di carte, bevitori, trasfigurazioni del paesaggio padano, alberi scheletriti, di cui valgono come esempio Partita a carte “Guidizzolo” e Campagna bondenese dell’anno seguente. In queste opere dai toni cupi è rigorosamente la dominante luminosa, come elemento vitale caricato talora di tragicità, a farsi perno attorno alle quali ruotano, assorbono energia e assumono significato gli elementi narrativi del quadro.

Fra il 1966 e il ‘67 l’artista realizza il dipinto La Taverna. Il quadro nelle sue grandi dimensioni è un manifesto emblematico, testimone del clima sociale e culturale di quello scorcio degli anni Sessanta, che in qualche modo preannuncia anche l’attenzione di Carlo Tassi nei riguardi dell’attualità e della contemporaneità, come le tematiche di carattere socio-politico in diverse opere dei decenni successivi.

Da questo decennio la poetica di Tassi suscita progressivamente maggiori consensi. Ne sono testimonianza i sempre più numerosi saggi critici, le monografie e l’intensa attività espositiva in molte province e città italiane.

Gli anni Settanta e Ottanta: l’albero, l’uomo, Cristo

Negli anni Settanta Tassi, con un atteggiamento critico verso l’antropizzazione del paesaggio nel quale si avverte quasi un’eco pasoliniana, compie, come dirà egli stesso, un profondo lavoro di trasfigurazione e di controllo, per stabilire tra la figurazione naturalistica e la realtà un rapporto di comprensione, di evocazione poetica e di psicologia umana. La spessa materia cromatica che caratterizza le sue tele diventa più forte nei contrasti e la pennellata più essenziale, nel paesaggio la luce assume sempre più significati impliciti e l’albero, dai rami nudi e intrecciati, domina la creazione artistica divenendo raffigurazione archetipa dell’uomo e di Cristo (Cristo fra gli alberi, 1976).

La “condizione umana” è l’altro elemento che l’artista studia costantemente e sul quale insisterà con maggiore intensità da questi anni in avanti, con importanti cicli di dipinti ad olio e di grafica: questi ultimi, come noterà Maria Censi, “…tracciati con scioltezza, con padronanza del mestiere ed eloquenti d’inquietudine nelle ombre nere, nei segni forti, nei contorni marcati…”. Soggetti che nei dipinti emergono da fondi bituminosi, materializzati dalla luce, come fatti di corteccia d’albero, della quale paiono mostrare i solchi e la ruvidezza, come Amarcord del 1978. Cicli di opere di grandi dimensioni con figure solitarie o a gruppi, connotate da forti contrasti chiaroscurali cariche di significati etici e morali, oppure immagini di critica politica dipinte direttamente sulle pagine del quotidiano l’«Unità» (Anziani e società, 1986).Un’altra tematica, che l’artista tratta fin dai suoi esordi e sulla quale andrà sempre più insistendo, è quella della “Maternità”, in cui egli esalta il rapporto fra madre e figlio attraverso un dettato pittorico che ha la capacità di suscitare una forte carica emozionale, sia sul piano estetico che affettivo (Madre con bambino  del 1986)

Negli anni Ottanta alla riflessione antropologica si aggiunge quella sugli ecosistemi quando la poetica dell’artista si sposta sui problemi dell’inquinamento attraverso la realizzazione di una serie di grandi alberi spogli e solitari, forti nei controluce, potenti nella materia e nel colore quasi espressionista, che per taluni va sciogliendosi in forme astratte (Alberi ramificati in verde, 1986).

Fra le numerose monografiche di questo decennio, significative quelle del 1984 alla Galleria Remo Croce a Roma inaugurata alla presenza di Renato Guttuso e di Giovanni Spadolini, e alla Sala Assemblea Comunale di Koper-Capodistria, dove Tassi viene invitato come rappresentante dell’arte ferrarese in occasione delle celebrazioni per il decennale del gemellaggio fra la città istriana e Ferrara.

Sempre in questo decennio attraverso l’approfondirsi di un discorso laicamente religioso, in cui la figura di Cristo diviene simbolo delle sofferenze dell’uomo contemporaneo, alla iconografia del “Cristo-albero” degli anni Settanta si aggiungono quelle struggenti delCristo uomo”, elaborazioni allegoriche dalle implicazioni sociali e politiche, morali e psicologiche.

L’ultimo ventennio

Il concetto di “umanità” e di “natura”, che Tassi riformulerà nei successivi ultimi due decenni, resta nucleo fondante di una poetica nel cui ambito egli affronterà con grande coerenza i suoi soggetti rappresentativi senza rinunciare a una incessante e sempre rinnovata ricerca tecnica ma soprattutto luministica. La sua produzione, soprattutto nella seconda metà del primo decennio del nuovo secolo, è connotata da una sempre più marcata espressività affidata ad una pennellata che ne esaspera forme e colori. Significativi sono, al riguardo, alcuni Autoritratti e le molte immagini di Cristo.

“Tutta l’opera di Tassi riformula una concezione dell’essere vivente che è autentico rispetto dell’altro e che dimostra il senso più alto della pietas, di quell’umana partecipazione alle vicende di ogni vita che vive. La figura umana, ma gli alberi soprattutto diventano segni di questa ‘creaturalità’ che lo affascina, gli brucia dentro e lo commuove sempre ogni volta. Il punto più alto di tutta questa operazione è costituito da quelle immagini del Cristo delineate, formate, contornate dai rami degli alberi spogli che tutti quanti ben conosciamo. Tassi si dimostra un artista autentico, libero cittadino di un mondo padano, capace di riconoscere la poesia nelle cose apparentemente impoetiche, fatte di terra argillosa, impastate di lavoro, sudore, fatica, di tenacia, quelle insomma che provocano la gioia e il dolore, la passione e la tribolazione. Anche l’arte a questa sofferenza partecipa trasmutando la materia che adopera in qualcosa che nasce sotto nuove apparenze, concrete seppure delle stesse parvenze dei sogni” (G. Cerioli).

 

Il primo dicembre 2011 l’artista muore e per sua espressa volontà testamentaria la sua ultima dimora-atelier a Bondeno, già da egli denominata “Studio d’Arte-La Casa del Pittore”, acquisisce una vera e propria fisionomia di Casa Museo o Casa d’Artista destinata a preservare, tutelare e valorizzare la memoria del Maestro. Nel marzo 2023 la struttura è stata riconosciuta  Patrimonio Culturale con il marchio “Case e studi delle persone illustri dell’Emilia-Romagna, (la Regione consegna targhe a 52 sedi individuate)

Sono quasi un centinaio le mostre personali tenute da Carlo Tassi nella sua lunga carriera e almeno una trentina quelle collettive. Sue opere si trovano presso collezioni private in Italia e all’estero (Stati Uniti, Venezuela, Giappone, Olanda, Francia, Svizzera) e presso collezioni pubbliche come il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara, la Pinacoteca di Argenta e la Pinacoteca Civica “Galileo Cattabriga”, il Duomo, la Chiesa dell’Addolorata, la Certosa e l’ANPI di Bondeno.

L’artista ha inoltre collaborato a riviste d’arte ed è stato chiamato a far parte di numerose giurie nazionali. Inoltre è stato membro, per conferimento honoris causa e Medaglia d’Argento, dell’Accademia “Tommaso Campanella” per le Scienze e le Arti di Roma; altrettanto dell’Accademia Teatina per le Scienze di Pescara e iscritto all’Albo d’Oro degli Scrittori, Poeti, Artisti, Scienziati e personalità d’Europa presso il Centro Europeo di Ricerche di Chieti; per la particolarità della sua opera è stato chiamato a far parte dell’Accademia “I 500” di Roma, in qualità di Accademico di merito; ha ricevuto la nomina di Accademico con Medaglia d’Oro all’Accademia Italia – delle Arti, delle Lettere e delle Scienze – nel 1978 a Salsomaggiore Terme; è stato designato membro a vita, con conferimento honoris causa, del Centro divulgazione Arte e Poesia di Gela.