“L’Arte di Carlo Tassi ha il volto del suo popolo” di Andrea Musacci

Riportiamo integralmente in questa pagina il bellissimo articolo di Andrea Musacci pubblicato su Filomagazine il 31 luglio 2025.

L’arte di Carlo Tassi ha il volto del suo popolo è il titolo del suo popolo

Al pittore scomparso nel 2011 la vedova Mara Vincenzi ha dedicato il volume Il silenzio e l’immagine. Scopriamo la sua poetica fatta di misteriosi paesaggi rurali, osterie, braccianti, figure cristiche. E la sua Casa Museo alle porte di Bondeno

Una delle degenerazioni del nostro tempo riguarda l’estraniazione sempre maggiore dell’opera dall’artista e dal tempo e dal luogo nel quale egli vive, pensa, crea. Non si tratta solo di astrazione formale ma di vera e propria alienazione del soggetto creativo dalla vita, da una pur rigida identità. Andare a riscoprire artisti come Carlo Tassi non significa, quindi, rifugiarsi in un passato mitico ma ritrovare l’intima unione tra un uomo, la sua terra e la sua Weltanschauung.

Il “pretesto” per questo articolo è la recente pubblicazione del volume di Mara Vincenzi (vedova di Tassi) dal titolo Il silenzio e l’immagine. Carlo Tassi e “La Casa del Pittore”[1], a cura e con un saggio introduttivo di Daniele Seragnoli.

VITA

Carlo Tassi (all’anagrafe Giancarlo) nasce a Bondeno il 20 maggio 1933 da Valmen Munerati e Gaetano, pittore e restauratore. Carlo ha una sorella di due anni più grande, Giovanna. Nel ’47 inizia a studiare all’Istituto d’Arte Dosso Dossi, raggiungendo ogni giorno la città in treno sui carri bestiame. Nel ‘51 si trasferisce a Bologna perfezionandosi prima all’Istituto d’Arte e conseguendo nel ‘55 il titolo di “maestro d’arte”, poi nel ’59 si diploma all’Accademia di Belle Arti (con maestro Virgilio Guidi). Negli anni Cinquanta prende vita la sua poetica realista, con al centro la vita della sua gente, il lavoro nei campi, la lotta partigiana. Nel ’51 tiene la prima personale e nel ‘52 esordisce alla seconda collettiva del circolo Al Filò di Ferrara, di cui è il socio più giovane. Nel ’55 inizia la sua attività scultorea e in questo periodo realizza anche incisioni, opere grafiche, pastelli, inchiostri, cere grasse, tempere, carboncini. Nel ‘57 per alcuni mesi si trasferisce a Parigi, poi si interessa molto di De Pisis e in seguito si avvicina alle avanguardie. Dagli anni Sessanta pittura e scultura si incontrano nella sua particolare tecnica: nel ’63 scopre – scrive lui stesso parlando in terza persona[2] – «il trionfo della luce ombra del colore dei suoi dipinti». Nel ‘60 inizia l’attività di insegnante, prima all’Istituto d’Arte di Guidizzolo (Mantova), poi alle medie di Bondeno fino al 1981, quando decide di lasciare la scuola per dedicarsi a tempo pieno all’attività artistica. Fra le numerose monografiche di questo decennio, significative quella del 1984 alla Galleria Remo Croce a Roma inaugurata alla presenza di Renato Guttuso e Giovanni Spadolini. Tassi muore il 1° dicembre 2011. Nella sua esistenza si contano un centinaio di mostre personali e la partecipazione ad almeno una trentina di collettive.

PITTURA

«I personaggi mi piace accarezzarli, toccarli, sentirne il palpito di vita».

(Carlo Tassi)[3]

Quello stile pittorico che lo distinguerà dagli anni ’60 e connotato da una forte matericità della sua pittura è forse un tentativo di dire con forza il primato dell’esistenza, del reale sul concetto. Della vita acre e sgraziata. «Ho iniziato con la scultura per cui la mia è una pittura plastica, tridimensionale, le mie tele hanno ruvidità, asprezza; voglio che la mia pittura si possa toccare, avvertire fisicamente»[4]. Le figure, in queste sue tele tipiche, sono epifania, appaiono dal nero, dalla penombra: in esse vi è qualcosa di mitico, di mistico, di più forte della contingenza. Sono immagini affidate all’anima, all’essenza più pura, più arcaica del luogo. Un luogo, però, non cristallizzato, non da cartolina, ma catturato nella propria voce ultima, essenziale e profonda.

Tanto nei suoi paesaggi spettrali quanto nei suoi interni cupi si respira solitudine, l’indicibile abbandono dell’uomo privo di trascendenza. Ma la luce – in realtà – non viene mai meno; è una luce a un tempo esterna e interna. Esterna, a indicare sempre una possibilità di redenzione per quei dimenticati dalla Storia; e interna, perché non può che sorgere dal loro vissuto, dal loro essere già – e per sempre – vita e memoria.

POPOLO

«Cristo, ai tuoi poveri / figli dispersi /nell’infinito / cielo del vivere, / ecco, morendo / Tu lasci questa / finita Immagine (…)».       

(La passione, P. P. Pasolini[5])

In Tassi – quindi – sacro e profano dialogano senza mai fondersi. La sua religiosità è quella del suo popolo, umile, contadina, impastata della terra. Sono i volti rugosi, le mani solide, dure e pietose dei vecchi e dei braccianti, che si fan dolci nelle madri e nel loro voto senza fine alla cura. Cura, segno intimo di un consorzio di anime, di una solidarietà naturale, ultrapolitica perché prepolitica. Un corpo solo nella disperazione, nella miseria, in questo resto di una Storia che sembra compiersi sempre altrove. In quella luce che addolcisce, che salva[6].

Per questo, il suo rapporto con la natura non poteva essere quello dell’ambientalismo di maniera, ma la vita stessa nel riconoscere l’intimo legame con alberi, canali, papaveri, nebbia e maceri, con la terra che palpita, respira, geme e rinasce assieme ai suoi abitanti. L’albero è simbolo, in Tassi, di questa intima unione: a un tempo, relazione con la terra e slancio, trascendenza verso l’assoluto.

CRISTO

«Oso alzare gli occhi / sulle cime secche degli alberi, / non vedo il Signore, ma il suo lume / che brilla sempre immenso».

(Mistero, P.P. Pasolini[7])

A tal proposito, significativa è La Crocefissione della Vergine del ’73: una giovane donna crocefissa a un albero (col quale in parte sembra confondersi), a un tempo simbolo cristico e mariano. E nella seconda metà degli anni Settanta Tassi realizza diverse opere con soggetto Cristo, fra cui Il volto di Cristo (1976), volto che spunta fra i rami intrecciati di due alberi, che paiono una corona di spine circondante – appunto – non il capo ma il viso. «Cristo è l’uomo – spiegherà Tassi[8] -, è colui che soffre e contemporaneamente è già un Cristo che ci parla attraverso l’arte guidando la nostra mano (…)». Cristo simbolo del popolo, persino effige politica; ciò non scandalizzi: per le elezioni politiche del 1946, l’illustratore Nico Edel realizzò alcuni manifesti per il PSIUP con lo slogan Votate per il Socialismo, la figura del Cristo, un campo e una fabbrica alle sue spalle.

Cristo è Dio che partecipa al nostro dolore e al moto dei nostri cuori che gridano speranza. È colui che siede all’osteria con noi, che si fa compagno di cammino (Emmaus) e di lotta per la liberazione integrale. Negli anni Ottanta, quindi, in Tassi dopo le immagini di Cristo/albero vi saranno quelle di Cristo/uomo. Fino al 2010, quando realizza Tu ed ego (Tu e io), in cui, malato, trova nella sofferenza del Cristo Crocefisso la propria, e viceversa[9].

CASA

«Il nido dell’uomo, il mondo dell’uomo non è mai terminato ed è l’immaginazione che ci aiuta a continuarlo».

(Gaston Bachelard[10])

A Ponte Rodoni, alle porte di Bondeno, si trova la magnifica Casa del Pittore voluta nel ‘95 da Tassi (assieme a Mara Vincenzi, che ancora vi risiede), sua abitazione, atelier, archivio e museo delle sue opere, di quelle del padre Gaetano e di altri artisti[11] (oltre che biblioteca di libri antichi e moderni). La villa ora è una Casa Museo o Casa d’Artista[12] destinata a promuovere, tutelare e valorizzare la memoria di Tassi «rispettando le sue precise volontà testamentarie», recita il sito[13]. E nel 2023 è stata riconosciuta dal Settore Patrimonio Culturale Regione Emilia-Romagna con l’attribuzione del marchio Case e studi delle persone illustri dell’Emilia-Romagna.

Tassi qui ci arrivò dopo lungo peregrinare: fra il 1950 e il 1960 colloca il suo primo studio nel centro di Bondeno, nel ’67 lo sposta a Casumaro, dove rimane fino a metà anni Settanta quando in un vecchio casolare a Scortichino trasferisce studio e residenza (Casa d’Artista che chiamerà La Padania). Ma pochi anni dopo la lascia per trasferirsi a Vigarano Pieve (nell’antica torre Guariento), mentre nel ’92 apre un suo nuovo studio in centro a Bondeno (chiamato ancora Padania). A metà anni ’90 la scelta definitiva e nel 2005 l’apertura anche di un piccolo studio in via Botte Panaro a Bondeno.

La casa è estensione ed espressione dell’anima di chi l’ha voluta, è luogo sacro, intreccio invisibile di luci e penombre, frutto di infinite, impercettibili stratificazioni di odori, passioni, incubi, giubili[14]. E oggetti: «le cose in mio possesso – scrive Byung-Chul Han[15] – sono contenitori di emozioni e ricordi. La storia che cresce sulle cose insieme a un loro lungo utilizzo finisce per animare gli oggetti che ci stanno a cuore». Anche per questo motivo, le Case Museo e Case d’Artista dovrebbero essere il futuro dell’arte: luoghi intimi che – per quanto musealizzati – mantengono un raccoglimento estraneo ai musei di massa, contenitori spersonalizzanti e sempre più spettacolarizzati dove in media si staziona 8 secondi davanti a un’opera. Meglio, invece, che queste siano poche e scelte, poste nel loro “habitat naturale”, dove la loro anima si concilia col luogo stesso, permettendo una comunione con chi le ammira. Comunione che si può vivere nella Casa del Pittore di Carlo Tassi.

Andrea Musacci: “L’arte di Carlo Tassi ha il volto del suo popolo

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